nel dialetto Brianzolo, era la tipica acconciatura femminile in uso in Brianza fino al 19° e ai primi anni del 20° secolo.
Quella della sperada è senza ombra di dubbio una tradizione antichissima e preromana, in quanto presenta tutti i canoni dell’usanza tribale. Non è un caso che usanze simili sono presenti solo e in maniera preponderante a ridosso dell’arco alpino e comunque a nord del fiume Po.
La sua storia risale da molto lontano, si presume che tale ornamento abbia avuto le sue origini esclusivamente in Brianza, verso il 1000/1200.
La raggiera = Sperada, Sperunada, Spadinera, Treccera, Cuazz, Quazz, Guazz, Gir, Girunn, Cùgialit o Cugiaret, Coo della Madona, Coo d’argent, Curona, Spazzaorec ,Raggì, Raggia, questi aggettivi si usavano nei vari paesi secondo le zone cardinali della Brianza, (Sperada, Treccera, centro est )-(Cùazz, Quazz, nord est)- (Spadinera, nord ovest), (Girunn, Raggia bergamasca) così chiamata nei vari dialetti dei paesi.
La sperada , così chiamata, come gli altri argenti da testa, non può essere considerata un ornamento autonomo, ma deve essere considerata parte integrante del costume popolare, sia da un punto di vista funzionale , sia da un punto della composizione ornamentale.
La data più antica della sperada è da riferirsi al 1555 nel Ceresio, ex Lombardia, trattasi della descrizione particolare della raggiera della moglie di un pescatore del lago omonimo.
La pettinatura di Lucia piace a Cesare Cantù, che la prende come riferimento per adornare i capelli di Brigida, protagonista femminile in La Madonna d’Imbevera, romanzo ambientato in Brianza attorno al 1590. Collocato cronologicamente quasi quarant’anni prima delle vicende narrate da Manzoni, con queste parole Cantù descrive la singolare acconciatura: (la Brigida comparve innanzi ai signori tutta rimpulizzita: un fitto giro d’agoni d’argento attorno alla nuca, due grandi orecchini d’oro, una pettorina rossa impunita di turchino, il vistoso vestito di broccato a fiori, tutto trinato a gale di nastri, due candide lattughe ove al gomito finivano le maniche, un grembiule di mussola bianche nuovo di bottega, sopra una gonnella color di cielo, terminata in balza a gonfietti).
La sua storia è ancora in parte sconosciuta, e il Manzoni ne parla nel suo romanzo “ I PROMESSI SPOSI “ la storia si svolge dall’anno 1625/28.
Nella prima composizione del Romanzo, datata 1821-1823, Fermo e Lucia, il Manzoni descrive l’acconciatura di Lucia Mondella con queste parole: “Aveva i neri capelli spartiti sulla fronte con una drizzatura ben distinta, e ravvolta col resto delle chiome dietro il capo in una treccia tonda e raggomitolata a foggia di tanti cerchi, e trapunta di grossi spilli d’argento che s’aggiravano intorno alla testa in guisa di un diadema, come ancora usano le donne del contado milanese”
“ Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre.
Le amiche si rubavano la sposa, e le facevano forza perché si lasciasse vedere: e lei s’andava schermendo, con quella modestia un po’ guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto, e aggrottando i lunghi e neri sopracigli, mentre però la bocca s’apriva al sorriso.